di Gioia Belardinelli
Il tema di oggi è di quelli importanti e non solo per me; in realtà è un argomento che penso possa riguardarci tutti.
Sto parlando della paura di sbagliare.
O della paura di fallire.
O della paura e basta.
La paura, quindi, che ci prende di fronte a una scelta, ciò che in questo senso implicherebbe la libertà di scegliere e che tuttavia – ahimè – non sempre è sinonimo di felicità, poiché a volte scegliere si rivela molto doloroso e molto difficile.
Per introdurre l’argomento appaiono particolarmente adeguate alcune righe tratte da “A tu per tu con la paura”, scritto da Amana, Krishnananda e Amana Trobe, un libro che mi è stato suggerito dal nostro amico terapeuta Enrico Maria Bellucci.
“Molto di ciò che ci trattiene dal vivere una vita appagante risiede nella paura che non esploriamo e con la quale non ci integriamo.”
Parole forti.
Conoscere la paura. Esplorarla, piuttosto che rifuggirla. Integrarsi con essa, invece di rimuoverla.
Si tratta di una lettura che può dimostrarsi di grande aiuto in alcuni degli snodi fondamentale della nostra vita, quando più che mai abbiamo bisogno di mettere a fuoco riflessioni e angosce che sentiamo agitarsi in profondità.
Nel libro si legge ancora:
“Maggiore è la capacità di accettare le nostre paure e di lavorarci sino in fondo e meglio siamo in grado di vivere le nostre vite nel modo più gratificante e completo possibile. Se do uno sguardo ai principali eventi della mia vita, ho l’impressione che spesso abbiamo avuto a che fare con la paura, in un modo o nell’altro, la paura della perdita, della punizione, delle critiche e del giudizio, del rifiuto, della solitudine e dell’abbandono, la paura legata alla sopravvivenza, la paura di esporsi e dell’umiliazione, del successo e del fallimento, dell’intimità, del confronto e della rabbia o di perdere il controllo.”
Affrontare la paura significa anche pensare a quanto spesso ci capiti di tormentarci su decisioni da prendere che pensiamo potranno cambiare per sempre il corso della nostra vita.
Questo capita perché tendiamo a credere che, se scegliamo, quella decisione poi sarà per sempre, immutabile, e che dovremo di lì in avanti dimostrare stoicamente di saperne sopportare le conseguenze.
A costo di tutto, anche della nostra felicità.
Naturalmente nella nostra vita siamo chiamati a compiere scelte praticamente tutti i giorni, e non c’è nulla di straordinario in questo, lo sappiamo bene.
A partire da quelle più banali come decidere il colore del maglione da indossare o le scarpe giuste, a cosa scegliere leggendo un menu o alle parole da utilizzare per raccontare un dubbio o un timore che abbiamo o qualcosa che ci è accaduto sul lavoro, o a quale film vedere al cinema.
Insomma, ogni aspetto della nostra vita presuppone una scelta, dunque la capacità di decidere, di prendere una direzione oppure un’altra.
Lo facciamo senza pensarci, scegliamo e andiamo avanti, ogni giorno.
Ma poi, di tanto in tanto, accade qualcosa di diverso e ci capita di dover salire su una nostra particolare linea di confine perché la decisione da prendere è una decisione più grande.
Succede che davanti a noi si apre un bivio.
La “possibilità”, che dentro di noi capiamo subito essere una “necessità”, di scegliere tra una strada o un’altra.
E quando ci troviamo davanti a questo bivio, uno dei tanti bivi dell’esistenza a cui siamo – se così si può dire - destinati, posti di fronte a questo tipo di scelte da “dentro o fuori”, capiamo subito che ci troviamo in realtà davanti a uno di quei crocevia dopo il quale nulla più sarà come prima.
In una vita quante volte ci capita di affrontare un bivio del genere, forse 3 o 4 volte? 5? …
Non molte di più, in effetti.
Ma sappiamo che prima o poi quei momenti arrivano e dobbiamo farci trovare pronti.
Anche perché, se non siamo attenti, può capitare a volte di capire solo DOPO aver imboccato la strada che si trattava di un “crocevia del destino”. Dopo, quando ormai è troppo tardi e non è possibile tornare indietro.
Sto parlando, come dicevo, di momenti salienti, molto rari, ma come sappiamo tutti, capita.
È la teoria delle sliding doors, rappresentata in modo molto divertente da quel vecchio film con Gwyneth Paltrow, ricordate?
A volte capita di trovarsi davanti a un bivio, indecisi se andare di qua o di là, incerti sul primo passo da fare. E allora, la paura.
Per spiegarmi ancora meglio, vediamo una situazione o un dilemma che personalmente conosco abbastanza bene: abbiamo due strade, mettiamo la strada A e la strada B, e dentro di noi sappiamo che se prendiamo la strada A più o meno rimarrà tutto come adesso e ci teniamo al sicuro, senza troppi rischi, se invece prendiamo la strada B ci allontaniamo dalla nostra comfort zone e dobbiamo essere pronti a un vero cambiamento che è esattamente ciò che ci terrorizza e ci blocca. Oppure ci porta, difensivamente, a scegliere la strada A per evitare guai.
Nonostante il filosofo Kierkegaard una volta abbia detto: “L'essere umano si rapporta alla sua esistenza solo quando agisce e soprattutto quando fa una scelta importante”.
E nonostante la pandemia ci abbia dimostrato in modo direi definitivo come tutto può cambiare da un momento all’altro, senza preavviso e senza alcuna possibilità di controllo da parte nostra.
Di tutto questo dovremmo tenere conto quando affrontiamo le nostre paure.
La paura di sbagliare, che a questo punto potrei anche chiamare in senso più generale la paura di scegliere, spesso ci distoglie dall’obiettivo principale, cioè prendere le decisioni migliori per noi stessi o per le persone che si fidano di noi, semplicemente perché spesso per migliorare certe condizioni dobbiamo correre dei rischi.
Questa cosa l’ho imparata un po’ di tempo fa e sarò sempre in debito verso la persona che mi ha ispirato dandomi la lezione importante che adesso vorrei condividere con voi.
Qualche anno fa, durante una delle mie prime sedute di analisi, iniziai a chiedermi, e quindi a chiedere all’analista, che cosa mai dovessi pensare o fare o sentire per non paralizzarmi di fronte a situazioni come queste.
Insomma chiedevo a lei di indicarmi la strada migliore, quella più sicura.
Ovviamente l’analista non è in possesso di queste risposte e non ha nemmeno il compito di sostituirsi a noi nelle decisioni, quindi ricordo bene il momento in cui lei mi guarda, intensamente e lungamente come solo sa guardarti una brava terapeuta, e quando finalmente parla mi dice questa cosa semplicissima, come fosse la più ovvia delle verità.
Mi dice:
“Può darsi che un giorno ti sveglierai e capirai di aver sbagliato. E allora? Che problema c’è?”
Ecco, in quel preciso momento ho avuto la mia piccola illuminazione.
La paura di sbagliare frena ogni cosa, a volte anche la felicità, ma avere coraggio non significa non avere paura ma piuttosto agire nonostante le nostre paure ed accettare di poter fallire, essendo pronti a rimediare, se è questo il caso.
È un apprendistato che dura molto tempo ma è esattamente questo ciò che significa davvero procedere oltre, e quindi superare, i nostri “confini”.
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